PP nella Fotografia d’Arte Contemporanea (#1: Dettagli)

Retouch MapFotografia d’Arte Contemporanea significa, tra le altre cose, che il lavoro del tuo cliente l’Artista finirà stampato, montato e incorniciato in gallerie e musei, forse in tutto il mondo. Il trend corrente è la stampa GRANDE, come ad esempio quelle di Candida Höfer: non è insolito vedere opere impressionanti di 100 3/4 x 81 pollici (256 x 206 cm circa, ci dev’essere qualcosa di diabolico nei numeri pari: 100 x 80 pollici è sicuramente molto più volgare).

Quindi, come professionista in questo particolare business, il mio lavoro è sempre rivolto alla stampa GRANDE: cioè una spasmodica attenzione ai dettagli – perché il diavolo abita lì in mezzo, e siamo pieni di amici che gli fanno visita volentieri.

Negli ultimi anni ho visto il trend delle opere GRANDI stabilizzarsi – il che è una vera maledizione per chiunque sia coinvolto nella loro produzione: dall’Artista (costretto a trasportare tra un aeroporto e l’altro attrezzatura costosissima), al montatore (pannelli di alluminio, D-bond o foam-board più difficili da maneggiare), il corniciaio (plexiglass più spessi e pesanti), il corriere (grossi, grassi safe-box da spedire dall’altra parte dell’oceano).

Exhibition openingQuando poi Giove va in trigono con Saturno e il lavoro di ognuno è fatto correttamente – ad esempio il montatore non distrugge una stampa (succede più spesso di quanto dovrebbe) – il nostro cliente l’Artista incontra amici e colleghi all’opening della mostra. Amici e colleghi che cominciano a perlustrare le opere ad una distanza (citando il compianto Bruce Fraser) largamente determinata dalla lunghezza del loro naso. Mi dicono che curatori, galleristi e critici di solito non prestano attenzione ad aspetti tecnici di nostra competenza, mentre lo sport preferito di amici e colleghi è la meticolosa ispezione dell’immagine, della stampa, della cornice, dell’illuminazione, (del buffet) per esprimere commenti con apparente cognizione di causa. Come:

  1. “Troppo digitale.” (digitale cosa, non è dato sapere)

  2. “Photoshop!” (il più grande oltraggio al pudore)

  3. “Troppa maschera di contrasto”

  4. “Troppa grana”

  5. “Il bordo bianco non è abbastanza bianco/largo/stretto”

  6. “La texture della carta è… troppa”

  7. “Lo sponsor è troppo in evidenza”

Eccetera eccetera.

La mia impressione personale è che a volte si attacchino ai dettagli perché non colgono il quadro generale (ovvero il concetto dietro all’immagine), ma ho sentito così tanti commenti bizzarri che non presto loro più di tanta attenzione ormai. Eppure, in questo piccolo mondo, anche le critiche più balzane non possono essere completamente ignorate dall’Artista: che in (e di) quel piccolo mondo vive, sicché (per tornare in argomento) nel mio lavoro di Post-Produzione mi sono allenato a giocare in difesa.

Ammetto che per me non è una grande forzatura (non sono mai stato un giocatore d’attacco nemmeno negli scacchi): l’idea fondamentale è che nella Fotografia d’Arte Contemporanea ogni passaggio della post produzione deve essere inserito nella prospettiva di una stampa GRANDE, anche mentre prepari un file 20x25cm per un catalogo (se hai fortuna, prima o poi dovrai cavarci fuori una stampa GRANDE). Ogni correzione di contrasto porta, entro certi limiti, a problemi di rumore (che sia cromatico o grana), le correzioni di prospettiva possono esagerare la caduta di nitidezza degli obbiettivi, la griglia di Bayer e l’assenza di filtro anti-aliasing nei dorsi digitali ad alta risoluzione garantiscono arcobaleni di moirée, ecc. ecc. Che di per sé possono non essere grossi problemi se stampi in piccolo formato (lato lungo sotto al metro), o per un libro. Ma diventano difetti inaccettabili su una stampa inkjet 160 x 210 cm, che verrà esposta oltreoceano e ispezionata da branchi di amici.

Per necessità, sono stato forzato a sviluppare un’insana attenzione a certi dettagli, e purtroppo spesso non esistono soluzioni ai problemi di cui sopra che non contemplino una buona dose di lavoro manuale. Per sopravvivere, il grado di fanatismo del tuo cliente presto diventerà il tuo, e ti scoprirai a pennellare via su un livello in modalità Colore aloni verde e magenta sui riflessi (a seconda che siano davanti o dietro al punto di fuoco), o spuntinare penosamente polvere, graffi, depositi di calcare, macchie di sviluppo, impronte digitali (devo continuare?) che disturbano l’uniformità della grana in una scansione di originali di grande formato.

Il Tuffatore

Nino Migliori - Il Tuffatore, 1951

Bizzarra attività che, a seconda della tua attitudine, può essere accolta come una pratica zen, oppure una punizione selvaggia, una sorta di rito di passaggio: poco dopo aver fondato Fineartprint.it (assieme al mio collega e caro amico Roberto Legnani) avemmo modo di lavorare moltissimo in scansione e post-produzione sull’archivio di alcuni importanti autori degli anni ’50 (come Nino Migliori e Piergiorgio Branzi) e ricordo ancora intere settimane spese a ritoccare vecchi negativi a pieno schermo – come visitare la superficie lunare; negativi passati da troppe incaute mani negli anni.

Tra le mie competenze c’è anche la stampa digitale fineart (ovvero inkjet di largo formato), così negli anni ho avuto il dubbio onore di confrontarmi col servizio tecnico Epson ed Hahnemuhle. Ho notato che in genere molte risorse sono spese nella cattura dell’immagine (cioè volare dall’altra parte del globo in remote locations con attrezzature costose) mentre spesso non viene prestata la medesima, equa, attenzione nel processo di produzione dell’opera (l’oggetto). Il che è ben strano. Ho visto coi miei occhi stampe GRANDI con banding scuro evidente (problemi di avanzamento carta), banding chiaro (ugelli otturati o allineamento delle testine non corretto), o montaggi di stampe con palesi problemi alla carta (che anche nelle più costose e teoricamente prestigiose carte a base cotone – come quelle Hahnemuhle – capitano con fetente regolarità).

Red hair embedded on Hahnemuhle paper coatingSapendo cosa costa il montaggio, cornice e trasporto, mi lascia perplesso vedere un approccio così rilassato alla produzione. Al meglio delle mie capacità (che in questo caso non si estendono granché) mi devo occupare anche di vero ritocco – con pennelli e acrilici intendo, per salvare una stampa dagli svariati problemi che la carta può presentare. A proposito dei quali ho raccolto negli anni una divertente casistica, che va dai punti di colla (puntini scuri di forma irregolare tra la carta base e lo strato di coating), alle impurità inglobate nella pasta della carta base (piccoli solidi che rigonfiano la superficie stampata), fino a peli rosso vivo – come diavolo possano finire intrappolati sotto l’ultimo strato di coating, non ho idea.

Per riassumere: quello che in alcuni lavori commerciali può essere visto come un’insana e maniacale attenzione al dettaglio, diventa una necessaria abitudine per chi si occupa di post produzione e stampa nella Fotografia d’Arte Contemporanea.

L’affascinante processo della produzione di un’opera d’arte (dal concetto all’oggetto) è la somma di molti, diversi passaggi che devono essere tenuti al più alto livello possibile; e in quanto responsabile di alcuni importanti aspetti tecnici del lavoro, devi tenerne conto.

Oppure, se preferisci vederla al rovescio: non facendo sempre del tuo meglio in post produzione, e lasciando correre qualche piccola imperfezione… alla fine queste si sommeranno alle altre: non l’idea più brillante, non la fotocamera giusta, non l’obbiettivo più adatto (ok, almeno per questi non è colpa tua), alcune aberrazioni cromatiche ai bordi, la prospettiva corretta così così, un ritocco tirato via, la stampa con micro-banding, la carta con qualche puntino ed una pieghetta, il montaggio con un rigonfiamento, il plexi sporco.

Il mondo contemporaneo ha proprio bisogno di opere così, non ne abbiamo già abbastanza?

[L’immagine di apertura è la mappa di ritocco (cioè la registrazione delle pennellate di ritocco) di un negativo 6×12, acquisito con uno scanner Imacon-Hasselblad, risultante in un file 1×2 metri @200 ppi, circa 16.000px lato lungo]